Cantico VI
Se si dice: Dente per dente, occhio per occhio, riguardando all'ordine materiale; perché nell'ordine positivo dello spirito tale verità non dovrebbe applicarsi a nostro vantaggio? Dona la vita, se uoi ricevere la vita. Dona la tua vita incondizionatamente, se vuoi che la vita si doni a te nella pienezza della sua unità. Fino a quando ti fermerai a esaurirti nei tuoi desideri o nella contemplazione dei tuoi piaceri, la vita non è in te, nella pienezza della sua unità. Quando per te sarà giunto il momento, non dovrai più placare, con sacrificio, il tuo turbamento, nè cautelarti contro le tue santissime soddisfazioni. Lo spirito di verità t'incalzerà, ti tormenterà, ti caccerà nel deserto; e dirai ai popoli: "Correggete le vie del Signore". Potenze celesti, potenze terrestri, potenze universali, rispettate l'anima umana; il Signore ha appena rinnovato con lei la sua alleanza, l'ha legata a sè con un nuovo trattato di pace. Le ha aperto gli archivi divini; l'anima ha venerato tutti i tesori pofferti dall'uomo di pace. L'anima ha contemplato per voi le fiamme sempre accese dell'intelligenza e le vive fonti dell'amore, che mai s'interrompono. L'anima ha percorso per voi i libri della vita, ove si attingono le leggi dei popoli. L'anima ha letto per voi la storia dei popoli passati, presenti e futuri. L'anima ha respirato il dolce profumo dei balsami perennemente applicati a guarire le piaghe dei mortali. L'anima ha veduto le terribili armi destinate a rovesciare i nemici della patria. L'anima dell'uomo oggi può entrare liberamente, volendo, in questi vari depositi, secondo i propri bisogni e quelli dei suoi fratelli. Anima dell'uomo, sali verso il tuo Dio con umiltà e penitenza. Sono queste le vie che anelano all'amore e alla luce. Poi ridiscenderai colma di tenerezza per i tuoi fratelli e andrai a condividere con loro i tesori del tuo Dio. Voi aprite i vostri tesori ai poveri, ma pensate forse ai bisogni del suo spirito piuttosto che a quelli materiali? Desiderate, così soccorrendo il povero, ch'egli ritrovi in parte la sua libertà e la sua attività perdute a causa della sua miseria? Desiderate che egli riabbia grazie a tale libertà il mezzo di lodare, più facilmente e più costantemente, il suo Dio e di arricchirsi con la preghiera? Ecco lo scopo vero dell'elemosina; ecco come l'elemosina può far progredire l'opera di Dio. Dio è spirito, egli vuole che tutto ciò che operate divenga spirito. Se facendo l'elemosina vi accontentate di chiedere al povero una preghiera per voi, gli chiedete più di quel che donate; pensate più a voi stessi, che a lui. Ma egli è meno libero di voi per dedicarsi alla preghiera. Rendete spirito le vostre opere, se volete che siano in tutto secondo giustizia.
mercoledì 15 febbraio 2017
martedì 14 febbraio 2017
Pitagora, storia e pensiero iniziatico
Nella storia del pensiero iniziatico, la figura di
Pitagora emerge per la sua eccezionale grandezza. Di ciò ebbero pienamente
coscienza i suoi stessi primi discepoli, che lo celebrarono come un essere
quasi divino.
Scarne sono le notizie attendibili sulla sua vita.
Sarebbe nato a Samo nel 571 a. C. circa, da genitori appartenenti al casato di
Anceo, fondatore della colonia. Giamblico riferisce che il padre di Pitagora,
recatosi a Delfi con la moglie incinta per consultare l’oracolo, ebbe
preannunziata la nascita imminente di un figlio che “per bellezza o sapienza
avrebbe superato quanti mai erano vissuti e che per tutta la vita avrebbe
massimamente beneficato il genere umano“.
Molto diffusa era la credenza che in realtà Pitagora
fosse figlio del dio Apollo, che aveva voluto, fecondando la madre, far dono
agli uomini di un fanciullo semidivino.
Giovanetto si distingueva per la sua straordinaria
sapienza, al punto di essere ascoltato e stimato come una creatura divina.
Quando Samo cadde sotto la Tirannia di Policrate, Pitagora fuggì dalla città e
decise, dietro suggerimento di Talete, di recarsi in oriente. Fu iniziato a
Tebe ai sacri misteri, e lì visse per ventidue anni, studiando presso le scuole
dei sacerdoti egiziani geometria e scienze filosofiche. Occupato l’Egitto dalle
truppe di Cambise, fu fatto prigioniero e condotto a Babilonia. Vi rimase
dodici anni, suscitando ovunque, in tutti, grande entusiasmo per le sue
conoscenze e la sua saggezza. In Mesopotamia continuando il suo perfezionamento
iniziatico, a contatto di maestri sumeri e babilonesi, visse fino all’età di 56
anni. Poi nella pienezza della sua maturitàvolle ritornare a Samo, dove non
restò a lungo, nonostante vi ricevesse grandi onori e la sua fama crescesse in
tutta la Grecia. Decise di recarsi in Italia, precisamente a Crotone, dove
fondò una scuola che in realtà era un vero e proprio centro di studi
iniziatici, in cui si faceva esperienza di vita comunitaria. Il numero dei suoi
discepoli rapidamente crebbe a dismisura ed analoghi centri pitagorici si
costituirono in altre città della Magna Grecia, come Sibari, Reggio, Imera,
Agrigento, Taormina. Questi centri svolgevano nelle città anche un certo ruolo
politico. Forse per questo motivo, a Crotone, una sommossa contro la scuola,
suscitata da un certo Cilone, disperse i discepoli, alcuni dei quali rimasero
vittime e furono bruciati vivi. Il Maestro, costretto alla fuga, morirà a
Metaponto nel 497 a. C. a 74 anni.
Per entrare appieno e capire l’essenza del pensiero
iniziatico di Pitagora, non si può prescindere dal trattare della “Scuola
Italica” e dell’organizzazione dell’Ordine.
L’Armonia deve essere alla base di ogni organizzazione
umana. Partendo da questo principio necessario, Pitagora si mostrava
estremamente severo nell’accettare degli sconosciuti nel suo Ordine. Egli
operava una severissima selezione di tutti i postulanti, scrutava personalmente
tutte le vocazioni ed attribuiva molta importanza all’impressione fisica che
gli faceva il candidato. Sapeva ed insegnava che ogni essere umano emette di
continuo radiazioni viventi intorno a sé, che colpiscono gli altri esseri e
risvegliano in esse simpatie o antipatie spontanee. Questa reazione naturale è
indipendente dalla volontà, la si subisce, non la si provoca; del resto, tale
reazione sbaglia raramente, poiché la prima impressione è spesso quella buona:
l’organismo reagisce automaticamente contro ogni minaccia esterna, allo stesso
modo in cui combatte i microbi con la febbre. Sono soprattutto gli occhi ad
avere una considerevole eloquenza: non sono forse un vero “specchio
dell’anima?”
Superato il primo impatto, il Maestro faceva compiere su
ciascuno di loro un’inchiesta dettagliata, che durava talvolta due o tre anni.
Ecco, in particolare i punti che egli sottoponeva a verifica: Che comportamento
aveva il candidato? Come trattava i suoi subordinati? Che atteggiamento
assumeva nei confronti dei suoi nemici? Come si comportava verso i suoi
superiori? Com’era di fronte ai suoi pari? Amava i suoi genitori? Sapeva
mantenere un segreto? Non era troppo espansivo? Quali manie aveva? E quali
abitudini? Che gente frequentava? Come reagiva ad un rimprovero, o a una lode,
o a una prova? Obbediva facilmente? Era modesto, perseverante, lavoratore? Era
disinteressato? Cercava la verità? Aveva carattere? Affermava la propria
personalità?
Era infatti necessario salvaguardare gelosamente l’Ordine
dall’intrusione di profani avidi o calcolatori, bisognava tener lontano gli
intriganti, i curiosi, tutti i professionisti del commercio e dell’interesse.
Pitagora scartava d’ufficio i postulanti la cui professione era suscettibile di
ispirare i loro sentimenti di crudeltà e di insensibilità. E’ per questo che
proscriveva senza appello i macellai, i gladiatori, i mercenari, i cacciatori.
Chiunque facesse professione di versare il sangue non era iniziabile.
Non possiamo biasimare il Maestro per la sua eccessiva
severità. Già ai suoi tempi, alcuni influenti politici volevano imporsi nel suo
Ordine, grazie al lustro del loro nome o al peso delle loro ricchezze. Egli li
scartò senza pietà e si fece in tal modo dei nemici implacabili. Il crudele
Cilone, che un giorno solleverà la folla contro di lui e guiderà l’assalto al
suo Tempio, era anch’egli uno dei rifiutato di Crotone; questa ferita sempre
aperta, ci fa comprendere la vigilanza e la tensione del suo odio.
Quando ammiriamo la qualità trascendente dei suoi
discepoli, quando osserviamo in che modo essi abbiano illustrato il pensiero
antico, non possiamo imputargli la sua severità: egli infatti, con una
premonizione sicura, con un infallibile istinto della verità, ha scartato gli
impuri, i deboli e gli empi, ha avuto la mano felice, ha distinto il buon grano
dalla zizzania.
Una volta ammesso al noviziato dell’Ordine, il giovane
postulante veniva sottoposto a rudi prove, che avevano come scopo quello di
temperare il suo carattere. Il candidato veniva trattato duramente e senza
riguardi; veniva messo al servizio degli anziani; gli si imponeva un perpetuo
silenzio; apprendeva a dominare la propria curiosità, a frenare ogni
sollecitazione profana, a darsi alle gioie austere della meditazione. Gli
veniva insegnata la Catartica o scienza delle purificazioni fisiche e morali.
Questo stadio penoso durava talvolta cinque anni e veniva abbreviato solo per i
soggetti eccezionali. Tale lunga attesa provocava l’effetto di renderli
pazienti e docili, attivi e modesti, disciplinati nel corpo e nell’anima.
La severa formazione dei novizi comportava anche una
prova supplementare, che doveva apparire loro particolarmente penosa ed
incomprensibile. Mentre avevano ascoltato il Maestro nei discorsi pubblici che
egli aveva rivolto agli exoterici, una volta ammesso alla scuola perdevano
immediatamente ogni possibilità di vederlo o di rivolgergli la parola Talvolta
il maestro riservava loro la fortuna di ascoltarlo ma senza vederlo. Li
chiamava per nome, dava loro consigli utili e le sue parole piene di
incoraggiamento e di conforto li incitavano a perseverare nel loro cammino.
Solo dopo la loro ammissione al grado esoterico il velo veniva rimosso
definitivamente e i novizi, resi migliori dalla prova, si ritrovavano faccia a
faccia con il loro Maestro.
A tutti venivano imposte due discipline distinte.
La prima, l’Echemythia, consisteva nell’obbligo di
mantenere il segreto sugli insegnamenti ricevuti, sul numero e sull’identità
dei membri dell’Ordine, su tutto ciò che si riferiva alla vita corrente. Ogni
indiscrezione veniva punita con l’espulsione immediata.
La seconda, o Kathartysis, consisteva nel
rispetto verso la Gerarchia, nella sottomissione agli ordini del Maestro, nella
docilità più esemplare, nel rispetto della disciplina comune, liberamente e
gioiosamente accettata, nell’obbedienza più totale.
Con l’imposizione di queste virtù, il Maestro evitò i due
vizi che logorano le altre collettività umane: da una parte, la chiacchiera
sconsiderata, la sbadataggine, l’inutile comunicazione di segreti a persone
incapaci di comprenderli, la demagogia insensata; dall’altra il disordine
dovuto all’indisciplina, la divisione, le agitazioni sterili, i maneggi e le
sregolatezze frutto della discordia e dell’egoismo.
Poiché la verità e la scienza non si acquisiscono con
un’illuminazione improvvisa, Pitagora ripartì il suo insegnamento in diversi
gradi di studi progressivi, gettando in tal modo le basi di una vera
Università. Gli studiosi non concordano sulla denominazione di questi gradi né
sul loro numero esatto. Ciò nonostante possiamo darne una nomenclatura logica
basata pur sempre sulle fonti rappresentate dai testi, o meglio frammenti di
testi, dei discepoli arrivati fino a noi.
Gli Exoterici
Il Grado Preparatorio, o Grado Zero, era aperto agli uditori Liberi che seguivano le udizioni pubbliche del Maestro. Era in seno ad esso che venivano reclutati i discepoli. In questo raggruppamento profano venivano insegnate unicamente le verità morali: il rispetto della legge, l’amore per la patria, l’altruismo, la concordia, i buoni costumi, la fedeltà coniugale, l’amicizia, il perdono delle offese.
Il Grado Preparatorio, o Grado Zero, era aperto agli uditori Liberi che seguivano le udizioni pubbliche del Maestro. Era in seno ad esso che venivano reclutati i discepoli. In questo raggruppamento profano venivano insegnate unicamente le verità morali: il rispetto della legge, l’amore per la patria, l’altruismo, la concordia, i buoni costumi, la fedeltà coniugale, l’amicizia, il perdono delle offese.
Gli Acusmatici o Ascoltatori
Una volta ammessi al noviziato dell’Ordine, i migliori uditori del Maestro, da lui sottomessi alla prova del silenzio, diventavano gli Acusmatici, gli Ascoltatori, dei loro maestri. Venivano loro insegnate la psicologia, la fisiologia, gli esercizi liturgici, la meditazione, i segreti del Simbolismo. Si chiamavano anche “Oi Exo”, “quelli di fuori”, per indicare in tal modo che una cortina li separava ancora dal Tempio, nascondendo loro i Misteri.
Una volta ammessi al noviziato dell’Ordine, i migliori uditori del Maestro, da lui sottomessi alla prova del silenzio, diventavano gli Acusmatici, gli Ascoltatori, dei loro maestri. Venivano loro insegnate la psicologia, la fisiologia, gli esercizi liturgici, la meditazione, i segreti del Simbolismo. Si chiamavano anche “Oi Exo”, “quelli di fuori”, per indicare in tal modo che una cortina li separava ancora dal Tempio, nascondendo loro i Misteri.
I Matematici o Mathematikoi o Scientifici
Non è possibile fare della metafisica prima di avere
esplorato la fisica, né della metapsichica prima di aver studiato le leggi che
regolano le forze manifestate dell’universo. In questo grado veniva data agli
iniziati una formazione scientifica completa, includente la fisica,
l’astronomia, la geometria, la matematica, e la scienza dei Numeri. Alcuni
studiosi definiscono i membri di questo Grado “Phisycoi”, “i Fisici”.
I Sebastici o Sebastikoi o Ermetisti
Dopo aver studiato il mondo in tutte le sue
manifestazioni sensibili, gli allievi venivano infine ammessi a conoscere le
ricchezze spirituali. A questo puinto venivano loro insegnati i vari Misteri
dell’Ordine, che rispondevano a tutte le domande poste da esseri assetati di
luce. L’origine dell’anima, la sua incarnazione, il suo destino postumo, questi
erano i problemi essenziali che i Misteri risolvevano. Questo grado faceva di
loro dei mediatori coscienti fa visibile e invisibile, li rendeva teologi oltre
che esperti in liturgia.
I Politici o Politikoi
Solo dopo essere stati formati nella scienza profana e in
quella segreta e dopo essere stati istruiti nei misteri del mondo e di ciò che
sfugge ai nostri sensi comuni, i discepoli venivano ammessi al quarto ed ultimo
grado dell’iniziazione. Si trattava di un grado teorico e pratico al tempo
stesso; venivano loro insegnati da una parte i segreti dell’armonia sociale e
le basi di una legislazione ideale, e dall’altra la pratica della giustizia e
l’interpretazione delle leggi. I membri di questo grado compivano un apprendistato
di governo nei quadri gerarchici dell’Ordine.
E’ così che una parte di essi chiamati Oikonomikoi,
gli Economici, gestivano i beni dell’Ordine e tutelavano i beni
materiali della comunità; altri, invece, i Nomoteti, i Legislatori,
dirimevano le vertenze che talvolta venivano loro sottoposte dall’esterno e
adempivano a svariate funzioni amministrative in seno alla gerarchia
pitagorica.
Quando la Fratellanza ebbe costituito numerose filiali
nel mondo ellenico, è probabile che i Politici abbiano organizzato una
ulteriore classe, quella degli Ispettori, il cui compito consisteva
nel sorvegliare le comunità straniere e in particolare l’ortodossia del loro
insegnamento.
Furono soprattutto i Legislatori che, rientrati nel mondo
profano ove formarono una sorta di Ordine, stabilirono leggi in numerose città
e si guadagnarono in tal modo una grande fama.
I cinque gradi dell’Ordine e i quattro degli Esoterici corrispondevano non solo ad un perfetto ordinamento del programma di studi, ma rispondevano anche, con le loro cifre, ad una preoccupazione di carattere mistico: il 5 infatti rappresentava il Pentalfa, o Stella a cinque punte, perfetta immagine dell’iniziato che trionfa e che irraggia ovunque le luci acquisite; il 4, da parte sua, simboleggia la santa Tetrakthis, fonte e fondamento di ogni saggezza.
I cinque gradi dell’Ordine e i quattro degli Esoterici corrispondevano non solo ad un perfetto ordinamento del programma di studi, ma rispondevano anche, con le loro cifre, ad una preoccupazione di carattere mistico: il 5 infatti rappresentava il Pentalfa, o Stella a cinque punte, perfetta immagine dell’iniziato che trionfa e che irraggia ovunque le luci acquisite; il 4, da parte sua, simboleggia la santa Tetrakthis, fonte e fondamento di ogni saggezza.
Benché i vari gradi si riunissero sempre separatamente,
sotto la guida di differenti istruttori, tutti comportavano un certo numero di
pratiche comuni, imposte a tutti gli adepti.
Uno dei riti più misteriosi dell’Ordine era il saluto al Sol levante. Alzatisi molto presto, i discepoli indossavano una veste bianca, prendevano la lira e si recavano incontro al Sole, intonando canti sacri. Quando l’astro si levava all’orizzonte, cessavano di cantare, si prosternavano a terra e rivolgevano al Sole una fervente adorazione. Non dobbiamo vedere in questa pratica una manifestazione di cieca idolatria: l’usanza aveva una origine egiziana ed era strettamente legata all’insegnamento dei Misteri.
Tutto è simbolo e allegoria nello studio dei Misteri. Questi ultimi non vengono mai svelati direttamente, perché la Verità può essere rivelata solo per gradi successivi agli uomini, incapaci di percepirla nel suo insieme. Gli iniziati di tutti i tempi e di tutti i popoli hanno sempre risposto ai loro neofiti a mezzo di simboli. E’ necessario inoltre che questi insegnamenti siano progressivi e vengano trasmessi con prudenza e circospezione.
Non rimane, ora, che dare alcuni cenni sulle usanze nella vita in comune all’interno dell’Ordine.
Uno dei riti più misteriosi dell’Ordine era il saluto al Sol levante. Alzatisi molto presto, i discepoli indossavano una veste bianca, prendevano la lira e si recavano incontro al Sole, intonando canti sacri. Quando l’astro si levava all’orizzonte, cessavano di cantare, si prosternavano a terra e rivolgevano al Sole una fervente adorazione. Non dobbiamo vedere in questa pratica una manifestazione di cieca idolatria: l’usanza aveva una origine egiziana ed era strettamente legata all’insegnamento dei Misteri.
Tutto è simbolo e allegoria nello studio dei Misteri. Questi ultimi non vengono mai svelati direttamente, perché la Verità può essere rivelata solo per gradi successivi agli uomini, incapaci di percepirla nel suo insieme. Gli iniziati di tutti i tempi e di tutti i popoli hanno sempre risposto ai loro neofiti a mezzo di simboli. E’ necessario inoltre che questi insegnamenti siano progressivi e vengano trasmessi con prudenza e circospezione.
Non rimane, ora, che dare alcuni cenni sulle usanze nella vita in comune all’interno dell’Ordine.
§ I
membri della Fratellanza pitagorica al loro ingresso affidavano all’Ordine
tutti i loro beni; gli Economi ne prendevano possesso e li amministravano con
cura. Se, deludendo le aspettative dei suoi maestri o colpito da un
provvedimento di espulsione, un fratello si vedeva costretto ad uscire dalla
comunità, gli Economi gli restituivano il suo contributo, ampiamente
incrementato grazie ad una gestione particolarmente oculata.
§ Dopo
la cerimonia del saluto al Sole, gli iniziati facevano una passeggiata mattutina
nei boschi sacri; dopo aver così comunicato con le forze nascoste della Natura,
si riunivano nei loro Templi – ne esisteva uno per grado – e vi seguivano corsi
e conferenze obbligatorie. Talvolta venivano invitati ad imprevisti esercizi di
filosofia e di eloquenza; ciascuno dei membri presenti doveva commentare a suo
modo e secondo il proprio livello i testi proposti alla sua attenzione.
§ A
mezzogiorno consumavano un pasto in comune, sedendosi in numero di dieci per
ogni tavolo. Durante i pasti mantenevano il silenzio. Il più giovane faceva a
voce alta una lettura di carattere iniziatico ed il più anziano ne dava in
seguito un breve commento.
§ Il
pomeriggio era consacrato allo studio individuale, a passeggiate in piccoli
gruppi, a corsi durante i quali discutevano le materie esaminate la mattina,
con esclusione dei Novizi, sempre costretti al silenzio.
§ Dopo
vari esercizi corporei ed un bagno ristoratore, cenavano insieme ascoltando il
sermone della sera, Compivano diverse libagioni agli Dei e una liturgia di
chiusura.
§ Due
volte al giorno, dovevano sottoporsi ad un severo esame di coscienza e fare
così il “punto” del loro progresso morale e spirituale. Questo esame veniva
chiamato psicostasia o “pesa dell’anima” ed era un rito
tipicamente egiziano.
§ Se
uno di loro moriva, era formalmente proibita la cremazione del suo cadavere.
Veniva inumato ritualmente, avvolto in veli bianchi guarniti di foglie di
mirto, d’olivo e di pioppo.
§ Non
potevano accavallare la gamba sinistra sulla destra, né radersi o tagliare i
capelli in un giorno di festa. Non potevano usare il legno di cipresso per
costruire le bare.
§ Portavano
esclusivamente vesti di lino, quelli di lana erano tollerati. I loro sandali
non erano di cuoio ma di canna.
§ Erano
loro interdetti alcuni alimenti: non potevano ad esempio mangiare le fave, le
uova erano sconsigliate e veniva loro raccomandata l’astensione di ogni tipo di
carne.
§ Non
potevano portare anelli.
§ Quanto
tuonava dovevano toccare la terra.
§ Molti
di loro portava, come il Maestro, i capelli lunghi.
Comunque, la loro fedeltà alle usanze dell’Ordine è
attestata non solo dagli storici del Pitagorismo ma anche dai suoi avversari.
Non mancarono infatti i sarcasmi e le ironie, gli scetticismi e le critiche che
volevano ridicolizzare la loro Regola di vita. Ma certi spiriti di basso
livello erano incapaci di comprendere la ricchezza di questo ascetismo e la sua
elevazione morale. Costoro vedevano in ogni rinuncia una follia, in ogni
privazione volontaria di un bene un’ingenuità. Uno di essi, Aristofone, nel suo
opuscolo “Il Pitagorico” fece la seguente satira: “Bere acqua come una
ranocchia, mangiare legumi e cipolle come un bruco, passare l’inverno a cielo
aperto come un merlo, patire il freddo o chiacchierare in pieno giorno come una
cicale, camminare a piedi nudi come una gru, non dormire come fa una civetta,
tali sono le manie del Pitagorismo“
Tuttavia, accadeva talvolta che qualche membro si vedesse costretto ad uscire dalla comunità. Che lo facesse di propria iniziativa o a seguito di un provvedimento di espulsione, nei suoi confronti veniva presa una misura particolare che ha sempre meravigliato i profani.
Tuttavia, accadeva talvolta che qualche membro si vedesse costretto ad uscire dalla comunità. Che lo facesse di propria iniziativa o a seguito di un provvedimento di espulsione, nei suoi confronti veniva presa una misura particolare che ha sempre meravigliato i profani.
Gli adepti si riunivano in seduta speciale, e veniva loro
annunciato che il nome del fratello in questione sarebbe stato radiato dal
Libro matricolare dell’Ordine: lo si proclamava morto e gli veniva eretto un
cenotaffio, come se avesse veramente perduto la vita.
In seguito, se qualcuno degli iniziati lo incontrava per
caso nelle vie della città, fingeva di non riconoscerlo più; se l’altro cercava
di rivolgergli la parola, egli rifiutava di ascoltarlo o di rispondergli; lo si
trattava sistematicamente come defunto; si ignorava la sua esistenza fisica,
perché era morto alla vita spirituale. Questa implacabile indifferenza, questa
impietosa freddezza era senza dubbio il più terribile dei castighi.
PITAGORA, STORIA, PENSIERO INIZIATICO E MASSONERIA –
Parte II
La Scuola Italica pitagorica aveva determinato e
costituito un’élite all’interno della città di Crotone, riformando i costumi e
sviluppando le coscienze.
Ben presto, tuttavia, essa dovette fare i conti con altre
città, la prima fra tutte fu quella di Sibari (1), dove un tiranno di nome
Telide si era improvvisamente impadronito della città. Uno dei primi atti del
suo magistero fu quello di arrestare i membri del passato governo molti dei
quali erano pitagorici. Parte di questi furono assassinati, altri si
rifugiarono a Crotone, dove la comunità dell’Ordine riservò loro una generosa
ospitalità.
Considerando la presenza degli esuli in una città cosi
vicina una minaccia, Telide inviò allora una delegazione a Crotone, minacciando
la guerra nel caso in cui non fossero stati consegnati i rifugiati per essere
messi a morte. Il popolo di Crotone riunitosi in gran fretta nell’Agorà
discusse il problema e quando la fazione orientata alla consegna di quelli che,
dopotutto, erano considerati degli estranei stava prendendo il sopravvento,
intervenne personalmente il Maestro e risolse il terribile conflitto di
coscienze: “Voi non potete, disse, strappare dai vostri altari i supplici che
hanno invocato la sacertà. Il diritto d’asilo è inviolabile. Nulla vi deve
distogliere dal vostro bene” (2).
Quindi il Senato si rifiutò di consegnare i suoi ospiti,
anche in virtù del fatto che tra i suoi membri più influenti vi erano molti
adepti all’Ordine.
Sibari dichiarò guerra nello stesso giorno. Crotone dette
l’incarico di comandante in capo delle truppe al celebre atleta Milone,
anch’egli membro devoto dell’Ordine (3). Benché l’esercitò di mercenari di
Sibari fosse tre volte superiore a quello di Crotone, gli invasori furono
respinti e Milone li insegui fin nel loro territorio conquistando Sibari.
Era il 510 a. C.; la città venne completamente rasa al
suolo: Eliano (4) narra che non restò pietra su pietra, scomparendo così dalla mappa
della Magna Grecia. Dovranno passare almeno 70 anni perché sotto la guida degli
Ateniesi, vi fu fondata, nel 444-443 a. C., una colonia panellenica che prese
poi il nome di Turi.
A questo punto della storia intervengono due fatti che,
sia pure indirettamente, determinarono la fine della Scuola Italica.
Con la vittoria su Sibari si apri una diatriba sulla
divisione delle terre conquistate: il popolo voleva che esse fossero divise fra
gli abitanti, mentre il Senato era contrario. La seconda causa fu rappresentata
da quella agitazione degli animi che si stava allora diffondendo in tutte le
colonie greche. Una serie di sommosse provocarono la caduta di gran parte dei
Consigli oligarchici o aristocratici; il popolo prese il potere in molte città
e il suo primo provvedimento fu quello di abolire le costituzioni ritenute
reazionarie, vennero soppresse le magistrature ereditarie introducendo il
metodo del sorteggio, i rappresentanti dei governi furono costretti a
sottoporre al popolo un resoconto della loro gestione, divennero servitori del
popolo invece di esserne le guide. Crotone non sfuggì al contagio delle nuove
idee e dopo tumultuose elezioni un Consiglio democratico prese il potere. Tutte
le istituzioni tradizionali della città vennero spazzate via e l’Ordine perse
immediatamente quella considerevole influenza che aveva tanto esercitato per
più di trent’anni sulla città. Fu a questo punto che Pitagora cessò di tenere i
corsi agli Exoterici e si chiuse in un profondo ritiro. Si ritirò nel Tempio
dell’Ordine e solo i dirigenti poterono avvicinarlo.
Gli storici e gli studiosi non sono concordi sulla scelta
del Maestro. La più probabile è quella secondo cui si rendeva conto dell’errore
commesso dai Politikoi dell’Ordine, che avevano assunto una parte troppo attiva
nelle competizione elettorali e che avevano troppo apertamente gestito gli affari
pubblici.
Ma torniamo a Crotone. Gli aristocratici, e con essi
molti membri dell’Ordine, costituivano una vigile opposizione agli attuali
governanti della città, ostacolando l’esecuzione delle nuove riforme. I
demagoghi, allora, scatenarono una forte campagna con la quale attaccarono
duramente l’Ordine e il suo Maestro. Giamblico (5) parla di un certo Cilone,
che il Maestro aveva rifiutato nell’Ordine, perché crudele ed ambizioso, il
quale si mise a capo di una congiura con l’appoggio di Ninone, autore di un
falso estratto dei Versi Aurei di Pitagora, inventati di sana pianta. Cilone
riuscì a presentare Pitagora come uno straniero pericoloso, un temibile
cospiratore, organizzatore in segreto di un complotto contro il popolo di
Crotone. A queste accuse, alcuni cittadini corsero alle armi e si recarono
all’assalto della casa di Milone, ove i membri della comunità si erano
pacificamente riuniti per celebrare ritualmente, in agape fraterna, una festa
d’obbligo. Assaliti dalla folla, i Pitagorici serrarono le porte e non
riuscendo a sfondarle, gli assalitori dettero fuoco all’edificio. Iniziò allora
un massacro: alcuni adepti perirono nelle fiamme, altri tentarono la fuga e
furono abbattuti dal popolino scatenato. La maggior parte degli studiosi è
concorde sul fatto che solo Liside, il discepolo preferito del Maestro, ed
Archippo, entrambi di Taranto, riuscirono ad evitare la morte; Liside si
rifugiò a Tebe ove iniziò Epaminonda (6), mentre Archippo si mise in salvo in
patria.
I membri dell’Ordine furono oggetto di una caccia
spietata; alcuni si erano rifugiati in una locanda dove furono scoperti e
sgozzati, altri furono inseguiti in piena campagna e, raggiunti, vennero uccisi
senza distinzione d’età e di sesso. Fra le vittime figurava anche il giovane
Democede, una delle speranze dell’Ordine.
Pitagora scomparve misteriosamente. La sua fine rimarrà
sempre un enigma. Il suo corpo non venne mai rinvenuto e mai si scoprì il luogo
della sua sepoltura.
Anche in questo caso i suoi biografi sono discordi. Tre
sono le tesi principali sostenute dagli storici. La versione di Ippolito e di
Neante (7) vuole che il Maestro condividesse la sorte crudele dei suoi
discepoli e perisse con loro nell’incendio e nel massacro di Crotone. Ermippo
sostiene invece che riuscì a fuggire insieme a Liside ed Archippo ma che venne
raggiunto lungo la strada e sgozzato in un campo di fave. Secondo Dicearco (8),
il Maestro errò di città in città, scacciato da tutti e, che giunto infine a
Metaponto, sarebbe morto di fame e di fatica nel Tempio delle Muse.
E’ certo che Pitagora risiedette per qualche tempo a
Metaponto, perché è in questa città che ricevette nell’Ordine il suo ultimo
discepolo diretto, Empedocle d’Agrigento (9), che si vantò sempre di essere
stato iniziato da lui.
Fu sempre a Metaponto che, dopo la morte, la sua dimora
venne trasformata in Tempio dei “Misteri di Cerere” ed è là che Cicerone farà
un pellegrinaggio ed andrà a vedere “il luogo ove aveva perduto la vita ed il
seggio dove era solito sedersi”.
Tale fu l’ignota fine de quest’essere straordinario, una
fine enigmatica quanto la sua vita.
Le iniziazioni del Maestro
Quando Pitagora costituì il suo Ordine nella Magna
Grecia, aveva ricevuto, nei vari paesi in cui aveva dimorato la pienezza di una
formazione iniziatica. Alla sua epoca, infatti, esistevano già presso tutti i
popoli mediterranei un gran numero di “Misteri”, le Telete. Esse consistevano
nella rivelazione confidenziale di certi segreti cosmici, trasmessi da
sacerdoti specializzati ad un ristretto numero di discepoli, degni di riceverli
ed in grado di farne buon uso.
In ogni regione, degli istruttori consacrati al culto
delle divinità locali insegnavano i propri Misteri in Santuari riservati a tale
scopo. Vediamo così numerosi viaggiatori che, amanti della Verità, peregrinano
di città in città per chiedere di essere ammessi a tutti i tipi di Misteri che
potevano essere loro rivelati, accumulando così gelosamente il maggior numero
possibile di iniziazioni.
Plutarco, Pausania ed Apuleio fanno capire di essere
stati successivamente ammessi ai Misteri greci di Demetra e di Dioniso, nonché
ai Misteri egizi di Osiride e di Iside. Ma non vi furono soltanto i filosofi,
naturalmente inclini all’investigazione metafisica, ad essere i più ghiotti di
queste ripetute investiture, perché anche i grandi capi politici dell’antichità
manifesteranno lo stesso interesse. Quando il mondo romano avrà subito
profondamente l’influenza ellenica, vedremo i suoi più illustri imperatori
imitare Pitagora e recarsi all’estero per ottenere nuove qualifiche.
Allo stesso modo in cui fecero Silla e Cicerone, vedremo
Augusto, Domiziano Adriano, Antonino Pio, Lucio Vero, Marco Aurelio, Commodo,
Settimio Severo e Giuliano ricercare in Grecia l’iniziazione ai Misteri.
Poniamo da parte i Misteri di origine ellenica per interessarci di quelli egizi che esercitarono indubbiamente su Pitagora la maggiore influenza iniziatica.
Poniamo da parte i Misteri di origine ellenica per interessarci di quelli egizi che esercitarono indubbiamente su Pitagora la maggiore influenza iniziatica.
“Egli trascorse ventidue anni nei templi d’Egitto, dice
Giamblico, studiando astronomia e geometria. Egli si fece ammettere, non
superficialmente né a caso, a tutte le iniziazioni degli Dei.
NON SUPERFICIALMENTE, dice l’autore, e ciò significa che lungi dal richiedere affrettatamente un’investitura occasionale, o di assistere ai riti e alle liturgie usuali, come facevano tanti viaggiatori avidi quanto frettolosi, Pitagora ebbe la pazienza di attendere per ricevere un insegnamento completo ed iniziazioni approfondite.
NON SUPERFICIALMENTE, dice l’autore, e ciò significa che lungi dal richiedere affrettatamente un’investitura occasionale, o di assistere ai riti e alle liturgie usuali, come facevano tanti viaggiatori avidi quanto frettolosi, Pitagora ebbe la pazienza di attendere per ricevere un insegnamento completo ed iniziazioni approfondite.
Ne’A CASO: non fu dunque un’ammissione puramente formale
che egli andò a sollecitare, ma volle ricevere ed ottenne effettivamente una
formazione identica a quella dei membri della casta sacerdotale, venendo così
considerato come un loro pari in scienza e in taumaturgia.
Ma in che cosa consisteva le iniziazioni egizie?
Alcuni studiosi, come Roeder, Hall, Newton, Hohlemberg,
ecc., ci dicono che i sacerdoti egizi davano delle iniziazioni estremamente
impressionanti ad un’èlite di neofiti, iniziazioni che si svolgevano in parte
nella Grande Piramide e nella Sfinge di Gizah. L’abate Terrason è stato il
primo a sostenere questa tesi.
Le cerimonie avrebbero comportato delle prove fisiche
spossanti e terribili. Il candidato doveva essere purificato dai quattro
elementi: a tal fine doveva strisciare in gallerie sotterranee (elemento
terra); attraversare della legna infiammata (elemento fuoco) passare a nuoto e
senza spegnere la fiaccola un profondo bacino (elemento acqua); infine, non
lasciare la presa nel momento in cui si sentiva sospeso nel vuoto (elemento
aria).
La disposizione interna della Piramide, che conta numerosi corridoi, sale e cavità diverse, non rende a priori inverosimile questa tesi. Apuleio, parlando dell’iniziazione di Lucio ai Misteri egizi afferma:
“Sono giunto ai confini della morte. Dopo aver calpestato il suolo di Proserpina, sono tornato attraversando tutti gli elementi”.
La disposizione interna della Piramide, che conta numerosi corridoi, sale e cavità diverse, non rende a priori inverosimile questa tesi. Apuleio, parlando dell’iniziazione di Lucio ai Misteri egizi afferma:
“Sono giunto ai confini della morte. Dopo aver calpestato il suolo di Proserpina, sono tornato attraversando tutti gli elementi”.
Altri, invece, contestano energicamente questa tesi e si
ostinano a vedere nella Grande Piramide solo una tomba di notevoli dimensioni.
Il luogo ha una importanza relativa; quella che non può
essere contestata è l’esistenza di iniziazioni in Egitto: ricordiamo che tutti
i grandi uomini della Grecia intrapresero il viaggio in Egitto espressamente
per cercarvi l’iniziazione e che tutti gli autori ne affermano l’esistenza.
La religione egizia comportava due livelli di
rivelazione. Al popolo veniva data unicamente un’approssimazione elementare di
certe Verità cosmiche, sotto i veli del rito religioso. Gli si permetteva di
frequentare i santuari e di partecipare alle processioni e alle feste religiose
che Erodoto ci ha descritte. Lo si incoraggiava ad una fervente pietà, ad una
devozione eccezionale, ad una permanente emotività mistica.
Ma la vera scienza segreta era riservata alla casta
sacerdotale, e rari stranieri ne furono talvolta i beneficiari.
Pitagora ricevette questa duplice comunicazione della
verità.
I Misteri egizi comportavano essenzialmente un elemento
mitico, il cui tema principale era costituito dalla morte e dalla rinascita di
Osiride, dei simboli e un insieme di riti. Siamo in grado di scoprire quali
particolarità dei Misteri hanno più colpito Pitagora? Senza dubbio ed innanzi
tutto la celebre leggenda di Osiride. Plutarco ce l’ha raccontata in modo
esplicito: Osiride era stato assassinato dal crudele Tifone e il suo cadavere
gettato nel Nilo; la cassa che conteneva i suoi resti fu trascinata dai flutti
del mare a Byblos, ove un’erica crebbe tutto intorno ad essa. Dopo numerose
ricerche, Iside riuscì a ritrovarla, ma nottetempo giunse Tifone che smembrò il
corpo di Osiride in quattordici pezzi, disperdendoli da ogni parte. Iside
dovette cercarli a lungo per raccoglierli, e alla fine riuscì a metterne
insieme tredici: il sesso non poté essere trovato. Ra inviò allora Anubis per
rimettere a posto le membra disgiunte di Osiride, ed Iside le rianimò col suo
soffio. In seguito suo figlio Horus vendicò il padre e sconfisse Tifone.
Questo mito eterno, si ritrova in tutte le iniziazioni.
Il neofita, infatti, veniva ad un certo punto sottoposto ad una morte simbolica
e quando risorgeva levandosi dal suo giaciglio funebre era assimilato al Dio,
che riviveva in lui e lo faceva partecipare al suo irraggiamento spirituale.
Nel Pitagorismo ritroviamo questo simbolismo: l’iniziato
dovrà, come un chicco di grano, simbolo di Osiride, morire per poi rinascere.
Non solo, ma Pitagora fu enormemente influenzato
dall’insegnamento egiziano relativo alla vita postuma dell’anima umana. Egli
dichiarerà, come i suoi istruttori egiziani, che l’anima è immortale, la farà
passare sulla barca sacra per recarsi al giudizio (o psicostasia), imporrà a
tutti i suoi discepoli di pesarsi moralmente ogni giorno con una psicostasia
volontaria; farà sperare ai giusti la beatitudine finale, il soggiorno
nell’Isola dei Beati. Ripeterà così le tradizioni egiziane sulla barca di Iside
la pesa delle anime ad opera del cancelliere Thot, il rifugio finale nei beati
campi di Ialu. Non solo, è possibile ritrovare in certi suoi insegnamenti la
dualità Osiride-Iside sotto forma del binomio Sole-Luna; il culto di Amon-Ra
sotto la forma del rito di saluto al Sole levante; la barca di Iside
nell’insegnamento segreto sulla sopravvivenza. Lo scarabeo sacro sarà
rimpiazzato dalla farfalla e l’Ermete egizio verrà rappresentato in ogni suo
Tempio.
Ma la cosa che maggiormente influenzò ed ispirò il
maestro nelle sue direttive spirituali fu la minuziosa liturgia egiziana.
Pitagora dovette rimanere sorpreso del valore essenziale che i suoi istruttori
egiziani attribuivano ai riti religiosi dell’importanza considerevole che essi
attribuivano a ciascuno dei loro gesti e della ricchezza magica che davano ad
ogni parola. Il fatto è che l’Egitto, tramite la pratica rituale, possedeva il
segreto di come animare i suoi dei. Quindi, il merito di questa liturgia
consisteva nel dare a tutti l’impressione che gli dei fossero viventi;
l’oggetto della loro venerazione non era solo una mera immagine; entrando nel
tempio, una volta compiuti i riti, si aveva la sensazione di una presenza, e il
fuoco sacro che ardeva costantemente davanti al Dio rafforzava ancor più questa
sorprendente impressione. Riusciamo a questo punto a comprendere quale
entusiasmo mistico, quali scene di gioia spirituale, quale fervore
accompagnassero in Egitto l’esecuzione di tutti i rituali religiosi; quali
slanci di fede e di pietà trascinavano le anime e quali felici emozioni
facessero battere i cuori all’un isono.
Pitagora riuscì a ricreare fra i suoi discepoli la stessa
unità spirituale, imponendo riti regolari e dando loro una padronanza assoluta
sulle proprie azioni.
Se tali effetti erano ancora percepibili e realizzabili in epoca in cui i Grandi Misteri dell’Egitto erano già in piena decadenza, quale mai doveva essere la forza dell’iniziazione egizia nel momento in cui questo popolo straordinario si trovava all’apogeo della sua potenza e del suo irraggiamento spirituale. Il suo dinamismo religioso dovette essere incomparabile ed influenzare profondamente tutti i popoli mediterranei.
Pitagora ricevette veramente in Egitto una formazione completa: nessuna iniziazione greca avrebbe potuto insegnargli altrettanto.
Se tali effetti erano ancora percepibili e realizzabili in epoca in cui i Grandi Misteri dell’Egitto erano già in piena decadenza, quale mai doveva essere la forza dell’iniziazione egizia nel momento in cui questo popolo straordinario si trovava all’apogeo della sua potenza e del suo irraggiamento spirituale. Il suo dinamismo religioso dovette essere incomparabile ed influenzare profondamente tutti i popoli mediterranei.
Pitagora ricevette veramente in Egitto una formazione completa: nessuna iniziazione greca avrebbe potuto insegnargli altrettanto.
Ricerca di Vittorio Gnocchini
NOTE
1.
La colonia achea di Sybaris, fondata nella
seconda metà del sec. VIII a. C. sul golfo di Taranto, acquistò presto, grazie
all’intraprendenza e all’operosità dei coloni, potenza e ricchezza tali che i
suoi abitanti ebbero anche fama di molli e corrotti. Sulle sponde tirrene
calabre, S. fondò le colonie di Lao e Scidro e più a nord, sul golfo di
Salerno, Posidonia (Pesto). In buoni rapporti con Mileto, verso la fine del
sec. VI esercitava una certa supremazia sui centri vicini.
2.
Da Diodoro Siculo, storico greco (80 ca. —20
a.C.)
3.
Milone: atleta greco (sec. VI a. C.). Tra i più
famosi dell’antichità, fu vincitore nella lotta in almeno 6 giochi olimpici
oltre che di altre manifestazioni sportive (6 giochi pitici, 10 istmici e 9
nemei).
4.
Claudio Eliano: sofista ed erudito romano
(Preneste ca. 170-ca. 235). Insegnò a Roma; non uscì mai dall’Italia, ma parlò
e scrisse in greco attico. Lasciò due raccolte di fatti curiosi e strani:
intorno agli animali (Sulla natura degli animali, in 17 libri) e Varia storia,
di cui abbiamo 2 libri su 14, contenente aneddoti mitologici, letterari,
naturalistici, ecc.
5.
Giamblico: filosofo neoplatonico e matematico
greco (Calcide ca. 250-325 o 326). Allievo di Porfirio, introdusse, dandovi la
preminenza, elementi mistici e superstiziosi di origine orientale nel
neoplatonismo, come si può rilevare nell’opera De Mysteris. E’ autore di una
Silloge delle dottrine pitagoriche in 10 libri, di cui ne restano 5. I più
interessanti sono De vita pythagorica, De communi mathematica scientia
(un’introduzione filosofica alla matematica) e In Nicomachi arithmeticam
introductio (commento).
6.
Epaminonda: generale e uomo politico tebano (ca.
420-362 a. C.).
7.
Neante di Cizico: storico greco (sec. III a.
C.). Scrittore di mitografia, compose sei libri di Elleniche, di cui restano
solo frammenti.
8.
Dicearco di Messina: filosofo peripatetico (sec.
IV-III a. C.). Fu discepolo di Aristotele, contro cui sostenne la superiorità
della vita pratica sulla vita teoretica. Notevole la sua opera geografica
Itinerario intorno alla Terra.
9.
Empedocle: filosofo greco (Agrigento ca. 492-?
ca. 432 a. C.). L’ultimo dei grandi filosofi naturalisti presocratici, ebbe
fama di medico e di guaritore e la sua figura divenne leggendaria. Partecipò
alla vita politica della sua città, dalla quale pare sia stato esiliato, perché
appartenente al partito democratico. Condusse una vita randagia in Sicilia,
Magna Grecia e, probabilmente, nel Peloponneso. La sua morte è misteriosa: si
racconta che si sia gettato nell’Etna per farsi credere un dio.
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